lunedì 25 ottobre 2010

Consiglio di Stato, Sez. V, 21.09.2010 n. 7031


Sono annullabili le clausole ritenute illogiche ed ingiustamente onerose,
che manifestano la loro potenzialità lesiva soltanto dopo l’aggiudicazione ed
ancor più dopo la stipula del contratto di appalto.

Le clausole de quo ponevano a carico della ricorrente sia l’intero onere
delle maggiorazioni tariffarie previste dall’art. 3 dell'Ordinanza Ministeriale
4.8.2000 n. 3077, sia l’ulteriore sanzione di 50.000,00 € per il mancato
raggiungimento dell’obiettivo di raccolta differenziata al 35% entro il
31.12.2006, sia l'ulteriore sanzione dell'aumento per ogni anno del 20% per il
mancato raggiungimento, successivamente al 31.12.2006, dell’obiettivo del
35%.
Nel caso di specie, è avvenuto che malgrado la ricorrente abbia svolto il
servizio di raccolta differenziata con puntualità e precisione, tuttavia non è
stato oggettivamente possibile raggiungere gli obiettivi di raccolta
differenziata.
Evidenziava il Collegio che il raggiungimento dell’obiettivo in questione
non dipendesse esclusivamente dalla volontà dell’appaltatore, essendo
condizionato in maniera preponderante dalla selezione dei rifiuti da avviare a
raccolta differenziata da parte dei cittadini, utenti del servizio.
Il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti
riciclabili dipende dal concorso di una pluralità di comportamenti, di cui quello
relativo alla raccolta e trasporto dei rifiuti differenziati è solo uno dei fattori
per raggiungere l’obiettivo in questione.
Il sistema della raccolta differenziata, prima ancora che sull’opera
dell’appaltatore, fa perno sui comportamenti domestici degli utenti nella fase
di selezione dei rifiuti appaiono chiaramente illogiche tutte le previsioni
contenute negli atti di gara ed in epigrafe indicate tendenti ad addossare
sull’appaltatore non solo il maggior onere di conferimento in discarica dei
rifiuti urbani, ma anche una ulteriore sanzione pecuniaria applicabile
semplicemente in ragione del mancato raggiungimento dell’obiettivo del 35%,
a prescindere da qualsiasi inadempimento contrattuale.
Pertanto, l’obbligazione di risultato pretesa dall’amministrazione
mediante le clausole impugnate, non è ragionevolmente esigibile
dall’appaltatore che, in fase di esecuzione del contratto, sarebbe costretto a
provare l’impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile, ex art.
1218 c.c., pur essendo chiaro alle parti, sin dall’avvio degli atti di gara, che gli
obiettivi di raccolta differenziata non dipendono dal gestore del servizio ma
dal preponderante comportamento dell’utenza chiamata a conferire i rifiuti
domestici in maniera differenziata, sia mediante il servizio con cassonetto alla
strada che con quello “porta a porta”.

Consiglio di Stato, Sez. V, 21.09.2010 n. 7031


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
Decisione
Sul ricorso numero di registro generale 9620 del 2009, proposto da: 
Tradeco Srl Quale Capogruppo Mandataria Ati, Ati Murgia Servizi Ecologici S.r.l.,
rappresentati e difesi dall'avv. Giuseppe Mariani, con domicilio eletto presso Alfredo Placidi
in Roma, via Cosseria, 2; 

Contro

Comune di Cassano delle Murge, rappresentato e difeso dall'avv. Nicolò De Marco, con
domicilio eletto presso Sandro De Marco in Roma, via Cassiodoro N.1/A; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PUGLIA - BARI: SEZIONE I n. 01407/2009, resa tra le parti,
concernente AFFIDAMENTO SERVIZI DI IGIENE URBANA E COMPLEMENTARI.

Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Cassano delle Murge;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 maggio 2010 il Cons. Nicola Russo e uditi per
le parti gli avvocati Mariani, e Sandro De Marco, per delega dell'Avv.Nicolò De Marco;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

Fatto

L’a.t.i. Tradeco - Murgia Servizi Ecologici partecipava, risultandone aggiudicataria, alla gara
indetta dal Comune di Cassano delle Murge con bando pubblicato sulla Gazzetta ufficiale
delle Comunità Europee in data 15 marzo 2004 per l’affidamento dei servizi di igiene
urbana e complementari da svolgersi nel territorio del Comune.
Prima della stipulazione del contratto, avvenuta il 24 settembre 2004, e, precisamente,
con atto consegnato per la notifica il 23 settembre 2004, la ricorrente impugnava dinanzi
al T.A.R. Puglia, sede di Bari, chiedendone l’annullamento per eccesso di potere sotto il
profilo dell’illogicità manifesta, le seguenti disposizioni regolatrici della gara:



- art. 13, paragrafo a), punto 18, del disciplinare di gara, nella parte in cui prevede, a
carico del concorrente e futuro appaltatore: “di rinunciare ad esercitare qualsivoglia azione
di rivalsa o a formulare istanza di rimborso o risarcimento nei confronti
dell’Amministrazione appaltante per mancati ricava e/o maggiori costi in caso di mancato
raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata di cui all’articolo 23 del capitolato
speciale d’appalto, anche per motivi non dipendenti dalla volontà dell’appaltatore”;

- art. 21 del disciplinare di gara, punto 9, nella parte in cui prescrive a carico del
concorrente e futuro appaltatore che “per il mancato raggiungimento degli obiettivi di
raccolta differenziata specificati all’art. 23 del capitolato speciale di appalto, l’appaltatore
dovrà accollarsi l’intero onere delle sanzioni previste all’art. 3 comma 1 dell’Ordinanza del
Ministero dell’Interno del 4 agosto 2000 e sue successive modifiche ed integrazioni, più
una sanzione pari a euro 50.000,00 per il mancato raggiungimento al 31 dicembre 2006 di
un livello di raccolta differenziata pari al 35%. Negli anni successivi al 31 dicembre 2006
questa sanzione verrà aumentata ogni anno del 20% in caso di mancato raggiungimento
degli obiettivi dell’art. 23 del capitolato speciale d’appalto”;

- art. 23 del capitolato speciale d’appalto, nella parte in cui, con il 2° comma ha stabilito
che “in particolare l’appaltatore dovrà, pena l’applicazione delle penali prevista all’articolo
43 dal presente capitolato, assicurare il raggiungimento entro e non oltre il 31 dicembre
2006 di un livello minimo di raccolta differenziata pari al 35% dei rifiuti complessivamente
raccolti. Tale livello comunque dovrà essere sempre assicurato negli anni successivi fino
alla scadenza del contratto. A tal fine l’appaltatore dovrà assicurare preliminarmente alla
stipula del contratto e successivamente anno per anno per l’intera durata dell’appalto, la
presentazione di apposita polizza fideiussoria annuale, di importo non inferiore alla
sanzione massima applicabile per anno. Tale percentuale dovrà essere calcolata
considerando i quantitativi di rifiuti recuperabili intercettati ed effettivamente avviati a
recupero, per i quali, cioè, sia documentabile l’avvenuto conferimento a piattaforme di
recupero di materia o energia”;

- art. 43 del capitolato speciale d’appalto nella parte in cui prevede, a carico
dell’appaltatore la clausola sanzionatoria “per il mancato raggiungimento degli obiettivi di
raccolta differenziata specificati all’articolo 23, l’appaltatore dovrà accollarsi l’intero onere
delle sanzioni previste all’articolo 3, comma 1, dell’Ordinanza del Ministero dell’Interno del
4 agosto 2000 e sue successive modifiche e integrazioni più una sanzione pari a 50.000,00
(cinquantamila) per il mancato raggiungimento al 31.12.2006 di un livello di raccolta
differenziata pari al 35%. Negli anni successivi al 31 dicembre 2006 questa sanzione verrà
aumentata ogni anno del 20% in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi dell’art.
23 di questo Capitolato”;

- art. 10 dello schema di contratto di appalto per il servizio di igiene urbana e servizi
complementari, imposto dall’amministrazione sin dal momento del bando, nella parte in cui
prevede che “l’appaltatore ha presentato, ai sensi dell’articolo 23 del Capitolato Speciale
d’Appalto, polizza fideiussoria del…valevole fino al …rilasciata dal …S.p.A. per un importo
di euro 50.000,00 a garanzia del raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata
che al 31.12.2006 dovrà essere pari al 35%. Tale polizza sarà aumentata negli anni
successivi al 31.12.2006 del 20% in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi stabiliti
nell’articolo 23 del Capitolato Speciale di Appalto”;



- art. 20 dello schema di contratto, limitatamente alla previsione “per il mancato
raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata specificati all’articolo 23,
l’appaltatore dovrà accollarsi l’intero onere delle sanzioni previste all’articolo 3, comma 1,
dell’Ordinanza del Ministero dell’Interno del 4 agosto 2000 e sue successive modifiche e
integrazioni più una sanzione pari a 50.000,00 (cinquantamila) per il mancato
raggiungimento al 31.12.2006 di un livello di raccolta differenziata pari al 35%. Negli anni
successivi al 31 dicembre 2006 questa sanzione verrà aumentata ogni anno del 20% in
caso di mancato raggiungimento degli obiettivi dell’art. 23 di questo capitolato”.

In sostanza la ricorrente sosteneva che fosse illegittimo traslare a carico dell’appaltatore le
sanzioni previste a carico del Comune dall’Ordinanza Ministeriale 4 agosto 2007, n. 3077
per il mancato raggiungimento di determinate percentuali di raccolta differenziata e
applicare maggiorazioni tariffarie all’appaltatore per il mancato raggiungimento degli
obiettivi di raccolta differenziata.

Il Comune di Cassano delle Murge, costituitosi in giudizio, eccepiva l’inammissibilità del
ricorso e ne deduceva l’infondatezza nel merito.

Il Tribunale adìto, con sentenza n. 1407/2009 del 5 giugno 2009, in accoglimento
dell’eccezione di acquiescenza sollevata dal Comune, respingeva il ricorso, ritenendolo in
parte inammissibile ed in parte infondato e condannava l’a.t.i. ricorrente al pagamento
delle spese di giudizio, liquidate complessivamente in euro 3.000,00, in favore del Comune
resistente.

Con ricorso notificato in data 18 novembre 2009 l’a.t.i. Tradeco-Murgia ha proposto
appello avverso la prefata sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendone
l’integrale riforma e, per l’effetto, l’annullamento delle clausole del disciplinare di gara, del
capitolato speciale d’appalto e della bozza di contratto impugnate in prime cure, con
vittoria delle spese del doppio grado di giudizio.

Resiste il Comune di Cassano delle Murge, che insiste per l’accoglimento delle eccezioni di
difetto di interesse, tardività ed acquiescenza e, comunque, per la infondatezza nel merito
delle tesi avversarie, con vittoria delle spese del grado.

Con ordinanza n. 122 del 13 gennaio 2010 questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare di
sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata, affermando che non può “qualificarsi
acquiescenza la partecipazione alla gara, in quanto le clausole impugnate, aventi ad
oggetto l’applicazione di sanzioni e di penali, acquistano valenza lesiva solo al momento
dell’aggiudicazione” e che, inoltre, “appare illegittimo traslare a carico dell’appaltatore le
sanzioni amministrative previste a carico dei Comuni per il mancato raggiungimento di
determinate percentuali (nella specie il 35%) di raccolta differenziata”. 

Le parti hanno depositato memorie illustrative e la causa è stata trattenuta in decisione
alla pubblica udienza del 28 maggio 2010. 

Diritto

L’appello è fondato e merita accoglimento.



Come si è accennato nella parte in fatto, il Comune resistente in primo grado ha eccepito
la inammissibilità del ricorso avendo la ricorrente prestato acquiescenza alle clausole della
lex di gara contestate, in quanto avrebbe presentato offerta conforme al disciplinare di
gara e avrebbe siglato il disciplinare in tutte le pagine per accettazione.
A ciò si è opposta l’a.t.i. ricorrente, affermando che non può configurarsi acquiescenza ove
la condotta della parte non sia espressione di libera scelta, essendole precluso non
conformarsi alle richieste della stazione appaltante trasfuse nel disciplinare di gara.
Al riguardo il giudice di prime cure ha osservato che, pur ammettendo che la
partecipazione alla gara d’appalto in assenza di contestazioni non costituisce di per sé
acquiescenza, ciò non esime la concorrente che lamenti la illegittimità di alcune
prescrizioni della lex specialis di impugnarle tempestivamente. Secondo i primi giudici,
infatti, “le disposizioni di un bando di gara che impongano all’aggiudicatario oneri ritenuti
eccessivamente gravosi integrano una lesione attuale dell’interesse dell’impresa
concorrente, in quanto non è possibile per essa sottrarsi all’osservanza delle disposizioni e
presentare una propria offerta che disattenda l’obbligo imposto dalla stazione appaltante,
sicché devono essere impugnate tempestivamente, prima che sia conclusa la fase di scelta
del contraente”).
Pertanto, secondo il T.A.R., non avrebbe pregio la tesi difensiva che evidenzia il sorgere
dell’interesse solo per effetto dell’aggiudicazione, che ha reso attuale e concreto l’interesse
dapprima solo potenziale, “né appare condivisibile la prospettazione della ricorrente
secondo la quale la condotta tenuta non può costituire acquiescenza perché le clausole
impugnate, aventi ad oggetto obblighi di risultato in ordine alla raccolta differenziata e
sanzioni per il caso di mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati dal Comune,
acquistano valenza lesiva solo nel momento dell’aggiudicazione”.
Inoltre, il T.A.R. Puglia ha pure ritenuto irrilevante la circostanza dell’aver prima notificato
il ricorso e solo successivamente sottoscritto il contratto di appalto, in quanto
l’acquiescenza sarebbe desumibile dal comportamento della parte nel suo complesso, nel
caso di specie caratterizzato da una condotta di mera adesione alle previsioni della lex di
gara.
Infine, sempre a sostegno della non ammissibilità del ricorso, il giudice di primo grado ha
ritenuto che “il richiesto annullamento delle clausole in quanto incidenti sulla stessa
formulazione dell’offerta economica, modificherebbe in senso favorevole all’a.t.i. ricorrente
ed in violazione della par condicio con le altre imprese che hanno partecipato alla gara, i
termini economici di questa”.
Ritiene, al riguardo, il Collegio che la tutela giurisdizionale dei privati avverso le
disposizioni del bando, inteso quale lex specialis della procedura ad evidenza pubblica, si
atteggi diversamente, a seconda che lo stesso presenti un contenuto immediatamente
lesivo o meno. Alcune sue prescrizioni, infatti, si riferiscono ai requisiti soggettivi ed
oggettivi per l’ammissione alla gara: queste sono ex se idonee a provocare l’esclusione e
producono una lesione concreta ed attuale nella sfera giuridica dei partecipanti. Si
richiede, quindi, in caso di illegittimità, che siano impugnate autonomamente ed
immediatamente, chiedendone l’eventuale sospensiva al fine di ottenere l’ammissione con
riserva alla gara. Nel caso in cui siano lasciati inutilmente scadere i termini per proporre
ricorso avverso la disposizione illegittima del bando, questa diviene inoppugnabile e,
pertanto, i successivi atti che derivano dalla stessa potranno essere impugnati soltanto nel
caso in cui presentino vizi propri.
Altre prescrizioni del bando, invece, non sono idonee a ledere con concretezza ed attualità,
in quanto non determinano automaticamente e direttamente conseguenze negative nella
sfera giuridica dei partecipanti: in caso di illegittimità, allora, occorrerà impugnare le


stesse, unitamente al relativo atto applicativo, viziato per invalidità derivata. Ciò accade,
ad esempio, con riferimento alle regole riguardanti l’aspetto procedurale della gara, che
saranno impugnabili solo successivamente, in seguito all’eventuale atto di esclusione,
adottato in applicazione delle stesse, oppure con riferimento alle regole che si riferiscono
alla composizione della commissione aggiudicatrice, od alla possibilità di partecipazione di
determinati soggetti, che andrebbero in realtà esclusi, le quali saranno impugnabili solo
unitamente al successivo atto ricollegabile alla disposizione illegittima, da identificarsi
nell’aggiudicazione. 
Occorre chiarire che il sindacato del giudice amministrativo sulle clausole del bando di gara
incontra gli stessi limiti sussistenti nei confronti di ogni atto amministrativo. E, invero, la
P.A., nella predisposizione del bando esercita un potere attinente al merito amministrativo
laddove inserisce disposizioni ulteriori rispetto al contenuto minimo ex lege previsto;
queste ultime, quindi, saranno censurabili in sede giurisdizionale allorché appaiano viziate
da eccesso di potere, ad esempio per illogicità, irragionevolezza od incongruenza rispetto
al fine pubblico della gara.
Nel caso di specie, le clausole impugnate con le quali l’amministrazione ha preteso di
addossare all’appaltatore l’obbligo di conseguire il risultato di determinate percentuali di
raccolta differenziata, di per sé non impedivano la partecipazione alla gara, risolvendosi,
piuttosto, in clausole, ritenute illogiche ed ingiustamente onerose, che manifestano la loro
potenzialità lesiva soltanto dopo l’aggiudicazione ed ancor più dopo la stipula del contratto
di appalto.
Sotto tale profilo, poiché il ricorso è stato spedito per la notifica il 23 settembre 2004,
dopo aver conosciuto l’esito di gara con la determinazione del responsabile di settore n.
35/2004 del 10.8.2008, deve essere affermata la tempestività ed ammissibilità
dell’impugnazione delle clausole del bando, che hanno manifestato la propria lesività
proprio a seguito della conclusione del procedimento di gara (cfr. Cons. St., Sez. V, 18
ottobre 2002, n. 5776; id, 15 novembre 2001, n. 5840; id., 28 agosto 2001, n. 4529; id,
27 giugno 2001, n. 3507; C.G.A., 3 dicembre 2001, n. 6351).
Quanto poi alla formulazione dell’offerta malgrado le onerose condizioni derivanti dalle
clausole impugnate, secondo il costante orientamento della giurisprudenza la
partecipazione alla gara non comporta acquiescenza alle clausole illegittime.
Nella specie la ricorrente ha formulato la propria offerta sul presupposto di far valere in
sede giudiziaria l’illegittimità delle clausole impugnate ove fosse risultata aggiudicataria,
come in effetti è avvenuto.
Né si può sostenere che la partecipazione alla gara abbia comportato l’acquiescenza delle
clausole impugnate.
Vale ricordare, in via generale, che non appare possibile configurare una rinuncia
preventiva alla tutela giurisdizionale dell’interesse legittimo, effettuata prima della concreta
lesione di quest’ultimo, ossia nel momento in cui, non essendo ancora attuale la lesione
stessa, lo strumento di tutela non è ancora azionabile.
Per tali considerazioni merita integrale riforma il capo della sentenza che ha ritenuto
inammissibile il ricorso per non aver impugnato le clausole in questione prima della
conclusione della fase di scelta del contraente. Per contro, va affermata l’ammissibilità del
ricorso sotto tale profilo, trattandosi di clausole che non rendevano impossibile la
formulazione di un’offerta.
Circa il capo della sentenza con il quale si dichiara l’inammissibilità per avvenuta
acquiescenza per effetto della sottoscrizione del contratto, assume ancora il giudice di
prime cure che il ricorso introduttivo era inammissibile in quanto le clausole gravate sono
state accettate con la stipula del contratto di appalto.



Come fondatamente dedotto dall’appellante, anche tale capo della sentenza merita
integrale riforma.
In proposito l’appellante evidenzia che la stipula del contratto è avvenuta il giorno dopo
della notifica del ricorso al giudice amministrativo.
Ritiene al riguardo il Collegio che benché la ricorrente, dopo aver inoltrato il ricorso, non
abbia sottoscritto con riserva il contratto di appalto, ciononostante non si può ritenere che
la sottoscrizione del contratto possa essere interpretata univocamente come acquiescenza
successiva rispetto ai provvedimenti impugnati.
Costituisce, invero, pacifico insegnamento giurisprudenziale quello secondo il quale
sussiste acquiescenza ad un provvedimento amministrativo solo nel caso in cui ci si trovi in
presenza di atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere dal
destinatario dell’atto, che dimostrino la chiara ed incondizionata (cioè non rimessa ad
eventi futuri ed incerti) volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l’operatività; con la
conseguenza di escludere la possibilità di affermare la sussistenza dell’acquiescenza per
mera presunzione, non potendosi in tal caso trovare univoco riscontro della volontà
dell’interessato di accettare tutte le conseguenze derivanti dall’atto amministrativo (cfr.
Cons. St., Sez. IV, 20 dicembre 2000, n. 6848; id., Sez. V, 26 ottobre 1998, n. 1544;
C.G.A., 19 febbraio 1998, n. 50).
Con riferimento specifico ai contratti ad evidenza pubblica si è, in particolare, osservato
come la partecipazione alla procedura di gara non configuri, di per sé, acquiescenza alle
clausole del bando, le quali, anzi, possono essere impugnate solo dopo avere
concretamente dimostrato non solo la volontà di partecipare alla procedura selettiva (cfr.
Cons. St., Sez. V, 10 febbraio 2000, n. 734; id., 27 giugno 2001, n. 3507), ma la lesione
attuale e concreta dell’interesse legittimo azionato.
Ora, se si accedesse alle tesi del giudice di primo grado, la ricorrente avrebbe dovuto
contestare la stipula del contratto, con espressa dichiarazione di riserva riferita alle
clausole in questione, con il rischio di vedersi rifiutare la stipula del contratto da parte
dell’Amministrazione. E, invece, come fondatamente dedotto dall’appellante, a fronte
dell’intervenuta notificazione del ricorso introduttivo il giorno prima della stipula del
contratto di appalto, l’acquiescenza rispetto ai provvedimenti impugnati avrebbe dovuto
essere manifestata chiaramente, in occasione della stipula del contratto, mediante una
qualsiasi dichiarazione espressa di segno contrario (rinuncia al ricorso ovvero dichiarazione
di abbandono o altra dichiarazione equipollente). In mancanza di dichiarazioni contrarie al
ricorso notificato (giusto il giorno prima, non certo a caso), non può presumersi una
volontà della ricorrente di prestare acquiescenza alle clausole della lex specialis,
impugnate con rituale ricorso al giudice amministrativo.
Pertanto, in difetto di una chiara ed incondizionata volontà di rinunciare al ricorso pur
dopo la stipula del contratto di appalto, non può ritenersi realizzata l’acquiescenza rispetto
ai provvedimenti impugnati.
Sotto tale profilo, va quindi riformata la sentenza ed affermata la tempestività ed
ammissibilità del ricorso introduttivo.
Circa il capo della sentenza con il quale è stata dichiarata l’inammissibilità della domanda
di annullamento parziale degli atti di gara, nei limiti delle clausole impugnate, il giudice di
primo grado ha ritenuto inammissibile il ricorso in quanto non sarebbe ammissibile
l’annullamento parziale degli atti di gara, nei termini richiesti dalla ricorrente, in quanto la
previsione della sanzione per il mancato raggiungimento di una data percentuale di rifiuti
differenziati sarebbe “un tutto inscindibile” con il corrispettivo economico dell’appalto di cui


è causa e ciò era noto alla ricorrente sin dal momento in cui ha conosciuto la disciplina di
gara, formulando la propria offerta.
Secondo il T.A.R. Puglia, sede di Bari, la ricorrente avrebbe formulato la propria offerta
anche tenendo conto del prevedibile risultato di non poter conseguire le percentuali di
raccolta differenziata che, in quanto risultato richiesto dall’amministrazione, non sarebbe
rimesso al “caso” ma “all’attività dell’appaltatore ed alla efficienza e puntualità del sistema
di raccolta differenziata da esso organizzata”. Secondo il giudice di prime cure, il risultato
della raccolta differenziata non potrebbe essere conseguito “ove fossero annullate le
clausole della lex di gara che operando da deterrenti inducono l’appaltatore ad attivarsi e
mantenere costante la funzionalità della raccolta”.
Conseguentemente, ritenuta la lex specialis un “corpus inscindibile” il TAR Puglia, sede di
Bari, ha ritenuto ulteriormente inammissibile la domanda di annullamento parziale delle
clausole impugnate.

Anche tale capo della sentenza merita riforma.

Va, infatti, censurata la ritenuta inscindibilità delle clausole penali rispetto al “corpus” della
lex specialis.
Come correttamente rilevato dall’appellante e contrariamente a quanto ritenuto dal giudice
di prime cure, l’obiettivo perseguito dall’amministrazione di raggiungere determinate
aliquote percentuali di raccolta differenziata non può ritenersi inscindibilmente legato alla
previsioni di sanzioni contrattuali per il caso di mancato raggiungimento del risultato.

In proposito, valgano le seguenti considerazioni.

La previsione degli obiettivi di raccolta differenziata è contenuta nell’art. 23 del Capitolato
speciale di appalto, mentre la previsione delle sanzioni è prevista dall’art. 21 punto 9 del
Disciplinare di gara e confermata dall’art. 43 del capitolato speciale di appalto oltre che
dagli articoli 10 e 20 dello schema di contratto allegato agli atti di gara.
Orbene, già la collocazione sistematica delle sanzioni in articoli del tutto autonomi rispetto
a quello (art. 23 Capitolato speciale) che prescrive il raggiungimento dell’obiettivo di
raccolta differenziata, consente di poter affermare che fra le due previsioni della lex
specialis, pur essendovi un indubbio collegamento, tuttavia non si può ritenere che lo
stesso sia “inscindibile”.
Difatti, ove in accoglimento del ricorso, fosse “stralciata” la previsione di raggiungere
comunque il “risultato” sperato dall’amministrazione di raccolta differenziata ed ove, con
l’accoglimento del ricorso, fossero stralciate le norme relative alle penali per il caso di
mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, resterebbe assolutamente integra
l’impostazione di fondo del contratto di appalto con riferimento al servizio di raccolta
differenziata come prescritto dall’art. 23 primo comma del capitolato speciale di appalto,
non impugnato, in forza del quale “dovrà essere attivato un idoneo ed efficiente servizio di
raccolta differenziata dei rifiuti urbani e assimilati, al fine di sottrarre allo smaltimento in
discarica la maggior quantità possibile di materiali suscettibili di recupero energetico o di
materia”.
Inoltre, resterebbero comunque integre anche tutte le altre obbligazioni richieste dall’art.
23 del Capitolato speciale di appalto, fra cui quella di organizzare il servizio in modo
omogeneo sull’intera area urbana, industriale ed extraurbana facendo ricorso a servizi
mirati per utenze specifiche o a raccolte del tipo porta a porta nonché di avviare


effettivamente a recupero i “rifiuti recuperabili intercettati” sotto forma di conferimento a
piattaforme di recupero di materia o energia.
La ricorrente, odierna appellante, sin dal progetto - offerta, ha previsto di attivare un
efficiente servizio di raccolta differenziata dei rifiuti urbani ed assimilati e tuttavia non è
logicamente corretto sostenere che, per ciò stesso, essa si sia obbligata a raggiungere
comunque il risultato dei livelli minimi “pari al 35% dei rifiuti complessivamente raccolti”,
con percentuale da calcolarsi “considerando i quantitativi di rifiuti recuperabili intercettati
ed effettivamente avviati a recupero”.
L’obbligazione di risultato, richiesta dall'amministrazione, non è, infatti, ragionevolmente
conseguibile con il solo impegno dell’appaltatore.
La ricorrente, odierna appellante, sin dal ricorso introduttivo, ha evidenziato che il
raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata dipende dalla concorrenza di
numerosi fattori, fra cui anche quello concernente le modalità di organizzazione e gestione
del servizio di raccolta delle frazioni recuperabili dei rifiuti.
Sin dal ricorso introduttivo è stato evidenziato che il complesso delle clausole impugnate
pone a carico della ricorrente sia l’intero onere delle maggiorazioni tariffarie previste
dall’art. 3 dell'Ordinanza Ministeriale 4.8.2000 n. 3077, sia l’ulteriore sanzione di 50.000,00
€ per il mancato raggiungimento dell’obiettivo di raccolta differenziata al 35% entro il
31.12.2006, sia l'ulteriore sanzione dell'aumento per ogni anno del 20% per il mancato
raggiungimento, successivamente al 31.12.2006, dell’obiettivo del 35%; in buona sostanza
dopo tale data la sanzione pecuniaria aggiuntiva corrisponde ad almeno di 60.000,00 € per
anno.
Tale sistema sanzionatorio contrattuale non trova alcun riscontro in un inadempimento da
parte dell’appaltatore.
Ed in effetti, come dedotto dall’appellante, in occasione della prima applicazione delle
clausole impugnate, con la determina dirigenziale n. 385 del 23 marzo 2009,
l’amministrazione, pur rilevando che per l’anno 2006 la frazione di raccolta differenziata è
stata pari al 9,14% e che nel 2007 è stata dell’8,42%, non ha contestato alcuna specifica
inadempienza contrattuale in merito alla gestione del servizio di raccolta delle frazioni
recuperabili.
Peraltro, la sanzione prevista dal capitolato speciale è stata comunque applicata malgrado
la ricorrente, con nota prot. n. 923 del 20.1.2009 abbia evidenziato che l’insuccesso della
raccolta differenziata sia dovuta ad una scarsa osservanza delle modalità di conferimento
da parte dei cittadini e che, quanto alla frazione umida, è oggettivamente impossibile
assicurare la raccolta differenziata, in quanto nell’ambito del bacino dell'Ambito territoriale
ottimale BA/4, al cui interno ricade il Comune di Cassano delle Murge, non sono disponibili
impianti pubblici di compostaggio ai quali obbligatoriamente conferire tale frazione
secondo le previsioni del Piano regionale di gestione dei rifiuti urbani, peraltro in
ottemperanza al principio, di derivazione comunitaria, di smaltimento dei rifiuti solidi
urbani secondo il criterio della prossimità rispetto al luogo di produzione.
Come evidenziato dall’appellante già in sede di ricorso introduttivo, è avvenuto che
malgrado la ricorrente abbia svolto il servizio di raccolta differenziata con puntualità e
precisione, tuttavia non è stato oggettivamente possibile raggiungere gli obiettivi di
raccolta differenziata.
E’ infatti evidente che il raggiungimento dell’obiettivo in questione non dipende
esclusivamente dalla volontà dell’appaltatore, essendo condizionato in maniera
preponderante dalla selezione dei rifiuti da avviare a raccolta differenziata da parte dei
cittadini, utenti del servizio.



Sicché la ricorrente, pur svolgendo correttamente il servizio di raccolta, trasporto e
conferimento dei rifiuti differenziati, certamente non può garantire che vengano raggiunti
gli obiettivi di raccolta differenziata previsti dal D. Lgs. 22/97 e dall’Ordinanza ministeriale
4.8.2000 n. 3077.
Tale ultimo provvedimento all’art. 3 dispone che: “a partire dal primo giugno 2002, la
tariffa per il conferimento in discarica dei rifiuti urbani provenienti da comuni che non
abbiano realizzato entro il mese precedente sul proprio territorio la raccolta differenziata in
misura tale da consentire l’avvio al riciclaggio di frazioni quali carta, plastica, vetro, metalli
ferrosi e non ferrosi, legno e al compostaggio della frazione umida dei rifiuti urbani per
una percentuale minima del 20 per cento, compresa la raccolta e il conferimento al CONAI
degli imballaggi primari, secondari e terziari, è maggiorata nella misura dell’1 per cento
per ogni punto percentuale in meno di raccolta differenziata rispetto all’obiettivo minimo
del 20 per cento. A tal fine, il commissario delegato - presidente della Regione Puglia,
comunica, agli enti gestori delle discariche, i nominativi dei comuni che hanno raggiunto
tali percentuali. Dalla data di attivazione degli impianti di produzione del combustibile
derivato dai rifiuti, la tariffa per il conferimento a tali impianti dei rifiuti urbani provenienti
da comuni che non abbiano realizzato, nel mese precedente, sul proprio territorio la
raccolta differenziata in misura tale da consentire l’avvio al riciclaggio, di frazioni quali
carta, plastica, vetro, metalli ferrosi e non ferrosi e legno e al compostaggio della frazione
umida dei rifiuti urbani per una percentuale minima del 20 per cento, compresa la raccolta
e il conferimento al CONAI degli imballaggi primari, secondari e terziari, è maggiorata nella
misura del 3 per cento per ogni punto percentuale in meno di raccolta differenziata,
rispetto all’obiettivo minimo del 20 per cento. A tal fine il commissario delegato -
presidente della Regione Puglia, comunica ai soggetti gestori degli impianti di produzione
del combustibile derivato dai rifiuti di comunicare che hanno raggiunto tali percentuali. I
proventi derivanti da tale maggiorazione sono versati dalle amministrazioni provinciali. Tali
proventi dovranno essere obbligatoriamente utilizzati per lo sviluppo delle attività di
raccolta differenziata, secondo i piani di raccolta differenziata di cui al precedente art. 5”.
Come ben si comprende dalla lettura di tali disposizioni l’obbligo di avviare al riciclaggio le
frazioni di rifiuti riciclabili, nella misura percentuale minima del 20%, incombe sui Comuni.
Per garantire il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata ogni
amministrazione comunale dispone di una pluralità di strumenti di intervento.
In primo luogo il Comune può attivare una incisiva campagna culturale di sensibilizzazione
della popolazione ad effettuare la selezione domestica delle frazioni di rifiuti da avviare alla
raccolta differenziata.
In secondo luogo vi è la predisposizione, tramite l’appaltatore, del servizio di raccolta,
trasporto e conferimento dei rifiuti riciclabili presso gli appositi centri specializzati.
In terzo luogo è necessaria una incisiva azione di governo locale per assicurare
l’ottimizzazione del servizio di raccolta anche mediante il ricorso al potere di controllo e
sanzionatorio a carico di coloro che non si attengano all’obbligo di selezionare in partenza i
rifiuti riciclabili e conferirli negli appositi contenitori destinati alla raccolta differenziata ad
opera dell’appaltatore.
Pertanto, il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata dei rifiuti riciclabili
dipende dal concorso di una pluralità di comportamenti, di cui quello relativo alla raccolta
e trasporto dei rifiuti differenziati è solo uno dei fattori per raggiungere l’obiettivo in
questione.
Il sistema della raccolta differenziata, prima ancora che sull’opera dell’appaltatore, fa
perno sui comportamenti domestici degli utenti nella fase di selezione dei rifiuti. Non solo.
E’ necessario che per indurre gli utenti alla selezione dei rifiuti riciclabili sin dalla fase della


selezione domestica, il pubblico potere faccia ricorso sia ai controlli che alle sanzioni
amministrative, onde intervenire sui comportamenti collettivi ed individuali che si pongono
in aperto contrasto con il programma di raccolta differenziata dei rifiuti. 
In tale contesto, come fondatamente sostenuto dall’appellante, appaiono chiaramente
illogiche tutte le previsioni contenute negli atti di gara ed in epigrafe indicate tendenti ad
addossare sull’appaltatore non solo il maggior onere di conferimento in discarica dei rifiuti
urbani, ma anche una ulteriore sanzione pecuniaria applicabile semplicemente in ragione
del mancato raggiungimento dell’obiettivo del 35%, a prescindere da qualsiasi
inadempimento contrattuale.
Come giustamente sottolineato dall’appellante, che colpa ha, infatti, l’appaltatore se
l’utente, già a livello domestico non seleziona e differenzia i rifiuti riciclabili? Che colpa ha
l’appaltatore se l’amministrazione comunale non esercita doverosamente i propri poteri di
controllo e repressione dei comportamenti individuali e collettivi contrari all’obiettivo di
conseguire una determinata aliquota percentuale di rifiuti differenziati?
L’obbligazione di risultato pretesa dall’amministrazione mediante le clausole impugnate,
non è ragionevolmente esigibile dall’appaltatore che, in fase di esecuzione del contratto,
sarebbe costretto a provare l’impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile,
ex art. 1218 c.c., pur essendo chiaro alle parti, sin dall’avvio degli atti di gara, che gli
obiettivi di raccolta differenziata non dipendono dal gestore del servizio ma dal
preponderante comportamento dell’utenza chiamata a conferire i rifiuti domestici in
maniera differenziata, sia mediante il servizio con cassonetto alla strada che con quello
“porta a porta”.
Con le clausole impugnate, in pratica, l’amministrazione ha finito per addossare
sull’appaltatore una responsabilità oggettiva per fatto altrui.
Malgrado la previsione di tale responsabilità oggettiva, nello schema negoziale posto in
essere dall’amministrazione, l’appaltatore non ha alcun potere di intervenire, in via
preventiva, sui comportamenti degli utenti, né può intervenire in via repressiva.
Ed in effetti, tali poteri competono alla pubblica amministrazione comunale.
In realtà, le clausole di gara impugnate si configurano come vere e proprie clausole
vessatorie che non trovano alcuna giustificazione nelle prestazioni contrattuali richieste
all’appaltatore e come tali, essendo fonti di un potenziale indebito arricchimento in danno
dell’appaltatore, sono ingiuste e strutturalmente illogiche tanto da configurare un vizio
evidente di eccesso di potere sotto il profilo della ingiustizia manifesta.
L’appellante, inoltre, deduce “Violazione dei principi generali in materia di cui al decreto
lgs. n. 152/2006 come desumibili dagli articoli 183, 198, 201, 203 e 205. Eccesso di potere
per illogicità manifesta e violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità
dell’azione amministrativa”, affermando che la sentenza impugnata si pone in contrasto
con i principi di cui al decreto legislativo n. 152/2006 che ha costruito un modello
organizzativo e gestionale polarizzato sul principio di minimizzazione dello smaltimento
finale dei rifiuti e, correlativamente, sulla massimizzazione delle attività intese alla
riduzione dei rifiuti da smaltire sia attraverso la prevenzione della produzione dei rifiuti, sia
mediante il potenziamento delle attività di riutilizzo, riciclaggio e recupero.
Rileva il Collegio che il sistema delle competenze amministrative per la gestione dei rifiuti
risulta dagli articoli 195 e seguenti del decreto n. 152/2006 e prevede livelli differenziati e
sovraordinati di funzioni.

Ai sensi dell’art. 195 compete allo Stato la funzione di indirizzo e coordinamento e la
definizione dei criteri generali e delle metodologie per la gestione integrata dei rifiuti. In
particolare compete allo Stato (lett. c) individuare le iniziative e le misure per prevenire e


limitare la produzione dei rifiuti, (lett. d) l’individuazione dei flussi omogenei di produzione
dei rifiuti con più elevato impatto ambientale, che presentano maggiori difficoltà di
smaltimento o particolari possibilità di recupero, (lett. e) l’adozione di criteri generali per la
redazione dei piani di settore per la riduzione, il riciclaggio, il recupero e l’ottimizzazione
dei flussi di rifiuti, (lett. g) la definizione di un piano nazionale di comunicazione e di
conoscenza ambientale, (lett. h) l’indicazione delle tipologie delle misure atte ad
incoraggiare la razionalizzazione della raccolta, della cernita e del riciclaggio dei rifiuti,
(lett. i) l’individuazione delle iniziative e delle azioni per favorire il riciclaggio e il recupero
di materia prima secondaria dai rifiuti, (lett. q) l’indicazione dei criteri generali per
l’organizzazione e l’attuazione della raccolta differenziata dei rifiuti urbani. 
L’art. 196 ha attribuito alle Regioni fra le altre, le funzioni in materia (lett. a)
predisposizione, adozione ed aggiornamento dei piani regionali di gestione dei rifiuti, (lett.
l) l’incentivazione alla riduzione della produzione dei rifiuti ed al recupero degli stessi,
previa raccolta differenziata (art. 199). 
L’art. 198 attribuisce una specifica competenza regolamentare ai Comuni che, in coerenza
con i piani d’ambito territoriale ottimale, stabiliscono in particolare (lett. a) le misure per
assicurare la tutela igienico – sanitaria in tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani, (lett.
c) le modalità del conferimento, della raccolta differenziata e del trasporto dei rifiuti urbani
ed assimilati al fine di garantire una distinta gestione delle diverse frazioni di rifiuti e
promuovere il recupero degli stessi, (lett. e) le misure necessarie ad ottimizzare le forme
di conferimento, raccolta e trasporto dei rifiuti primari di imballaggio in sinergia con altre
frazioni merceologiche, fissando standard minimi da rispettare. 
Peraltro, l’art. 201 ha imposto ai Comuni di costituire le Autorità d’ambito ottimale, alle
quali per legge è trasferito l’esercizio delle competenze in materia di gestione integrata dei
rifiuti, consistente nella realizzazione, gestione ed erogazione dell’intero servizio,
comprensivo delle attività di gestione e realizzazione degli impianti oltre che nella raccolta
differenziata, commercializzazione e smaltimento completo di tutti i rifiuti urbani e
assimilati prodotti all’interno dell’ATO.
Rispetto a tale contesto normativo è intervenuta l’ordinanza della Corte Costituzionale del
14 dicembre 2007, n. 437, con la quale si è ritenuta costituzionalmente legittima una
norma regionale del Piemonte (art. 17, comma 2, L.R. Piemonte n. 24/2002), nella parte
in cui ha previsto una sanzione amministrativa, secondo le norme ed i principi di cui alla
legge 24 novembre 1981, n. 689, a carico dei Comuni che non raggiungano gli obiettivi di
raccolta differenziata. Tale decisione è stata assunta sul presupposto che spetti ai singoli
Comuni l’obbligo di garantire la raccolta distinta delle diverse frazioni di rifiuti urbani. Il
principio stabilito dalla Corte Costituzionale trova conferma anche nella richiamata
normativa contenuta nel decreto legislativo n. 152/2006, che all’art. 198 attribuisce ai
Comuni il potere di regolamentare le misure per assicurare la tutela igienico sanitaria in
tutte le fasi della gestione dei rifiuti urbani, a cominciare dalle modalità di conferimento,
oltre che a quelle per la raccolta differenziata, il trasporto, il recupero e lo smaltimento.
Così precisati i termini della questione, non può revocarsi in dubbio che, anche alla luce
della citata pronuncia della Corte Costituzionale, competa al Comune, in quanto titolare di
una serie di funzioni amministrative regolamentari, di controllo e sanzionatone, l’onere di
garantire il raggiungimento delle percentuali minime di legge di raccolta differenziata. Il
raggiungimento degli obiettivi minimi di raccolta differenziata prescritti dalla legge dello
Stato, in tanto sarà possibile in quanto sia garantito, a monte, il conferimento differenziato
dei rifiuti da parte dell’utenza negli appositi contenitori ovvero agli addetti per il servizio
porta a porta. Posta la questione in tali termini, è, dunque, evidente che l’appaltatore non


può in alcun modo garantire il virtuoso comportamento da parte dell’utenza sin dal
momento del conferimento.
A tal fine, l’unico soggetto abilitato ad intervenire è proprio il Comune che ben può fare
uso, ove occorra, degli occorrenti poteri pubblicistici di accertamento e sanzionatori per
indurre l’utenza a conferire i rifiuti domestici ed urbani in maniera differenziata.
Soltanto se, a fronte di un comprovato e documentato conferimento differenziato da parte
dell’utenza che raggiunga e superi le percentuali minime di legge, il gestore non
garantisca, a sua volta, una raccolta parimenti differenziata, potrà ipotizzarsi una
responsabilità contrattuale a carico di quest’ultimo.
In caso contrario, la previsione di una responsabilità oggettiva a carico del gestore per il
mancato raggiungimento delle percentuali minime di raccolta differenziata, appare illogica
oltre che ingiustamente vessatoria.
Difatti, in mancanza di una adeguata pianificazione sovraordinata e di un penetrante
esercizio del potere di controllo amministrativo, non può ragionevolmente essere garantito
il raggiungimento degli obiettivi di raccolta differenziata. Astrattamente, il raggiungimento
delle percentuali minime di raccolta differenziata potrebbe essere ipotizzato ove
all’appaltatore fossero state concesse tutte le funzioni pubbliche spettanti al Comune per
controllare concretamente la fase del conferimento, ivi comprese le potestà pubblicistiche
di vigilanza ed il conseguente esercizio di quelle sanzionatorie. In mancanza di attribuzione
di tutte tali ulteriori funzioni e dell’esercizio delle altre azioni spettanti alle istituzioni
sovraordinate rispetto al Comune, non è logico porre a carico del gestore dei servizi di
raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani, l’onere di raggiungere ad ogni
costo le percentuali minime di raccolta differenziata.
In conclusione, un sistema sanzionatorio che ponga a carico del gestore del servizio di
raccolta dei rifiuti differenziati un obbligo di raggiungere gli obiettivi di raccolta
differenziata è irragionevole e sproporzionato avuto riguardo alla notoria difficoltà tecnico
gestionale che caratterizza il servizio di raccolta differenziata, dovuta a molteplici
concause e che vede come attore di primo piano proprio l’ente locale.
Orbene, come correttamente evidenziato dall’appellante, il sistema sanzionatorio
impugnato con il ricorso introduttivo del giudizio, finisce per imporre ai partecipanti oneri
manifestamente sproporzionati rispetto all’oggetto della gara. Da tanto deriva, come pure
fondatamente dedotto dalla ricorrente, anche l’erroneità della sentenza appellata, che non
ha rilevato la denunciata illegittimità degli atti impugnati per violazione del principio
generale dell’ordinamento, di derivazione comunitaria, di proporzionalità tra l’azione
amministrativa e l’interesse pubblico concretamente perseguito, il quale implica che
l’Amministrazione debba adottare la soluzione idonea ed adeguata, comportante il minore
sacrificio possibile per gli interessi compresenti e che si risolve nell’affermazione per cui
l’Autorità non può imporre, con atti normativi od amministrativi, obblighi e restrizioni alle
libertà del cittadino in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente
necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’Autorità è tenuta
a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all’obiettivo
da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace,
ma meno negativamente incidente, sia disponibile (cfr., ex multis, Cons. St., Sez. VI, 1
aprile 2000, n. 1885; Cons. St., Sez. V, 14 aprile 2006, n. 2087).
Per tali considerazioni l’appello in esame è fondato e merita di essere accolto e, per
l’effetto, in riforma della sentenza gravata, devono essere annullate le clausole del
disciplinare di gara, del capitolato speciale d’appalto e dello schema di contratto imposte
dall’Amministrazione impugnate in primo grado.


Le spese del doppio grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono
liquidate come in dispositivo. 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e, per
l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla le clausole del disciplinare di gara, del
capitolato speciale d’appalto e dello schema di contratto impugnate in primo grado.

Condanna l’Amministrazione comunale appellata alla refusione delle spese, competenze ed
onorari del doppio grado del giudizio in favore dell’appellante, liquidandole
complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre I.V.A. e C.P.A. 

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2010 con l'intervento
dei Signori:
Calogero Piscitello, Presidente
Aniello Cerreto, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere
Nicola Russo, Consigliere, Estensore
    
L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE 

Il Segretario

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/09/2010